Al dì vegnente fu visto che bisognavano per espugnarla le artiglierie di maggior calibro, non bastando quelle di campo; ma l'indole impetuosa del re ed il bisogno di sollecite vittorie non sofferendo ritardi, e sperando che il nemico mal difendesse quel posto, sei volte la legione assaltò, ed altretante respinta, perdé non pochi soldati, molti uffiziali furono feriti, il re sempre esposto ai pericoli; e la fama andò per l'Italia divulgando ed amplificando, col nessun successo, i danni e i rischi di quei due giorni. La legione accampò dove aveva combattuto, aspettando le più grosse artiglierie; il re tornò a Bologna per gravi cure di guerra e di governo.
LXXXII. Ivi alfine seppe i casi delle due legioni della Guardia mandate in Toscana sotto i generali Pignatelli Strongoli e Livron, pari di grado, pari di autorità, senza che l'uno avesse impero sull'altro, tal che operarono per accordi, non per comando, bizzarra e nuova composizione di esercito. Giunsero quelle schiere (seimila tra fanti e cavalieri) nei dì 7 ed 8 di aprile in Firenze, avendo, per fallato cammino, perduto un giorno, ritardo grave nelle sollecitudini di quella guerra. Dovevano traversare la Toscana, e con la presenza e i discorsi sommoverla a pro nostro, impegnare le sue milizie ad unirsi a noi per la causa d'Italia, combattere e vincere pochi Tedeschi retti dal generale Nugent, e così, accresciute di grido e di soldati, recarsi per Pistoia a Modena. All'entrare in Firenze dei primi squadroni napoletani, il gran duca Ferdinando III si riparò a Pisa; ed il generale Nugent a Pistoia con tremila soldati, dei quali mille e più Toscani, che, non di proprio grado ma per obbedienza, seguivano i Tedeschi. Frattanto a Livorno eran apparecchiate per ultimo scampo le navi, non sperando il generale Nugent di resistere a schiere due volte più forti.
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