Espose il re al Consiglio i primi disegni, rammentò le prime venture, e di poi la mancata spedizione della Toscana, la tregua rotta dall'Inghilterra, e le tradite promesse de' popoli e partigiani d'Italia; proseguì discorrendo il numero e le posizioni del proprio esercito; ciò che sapeva de' Tedeschi, gli apparecchi ostili del re di Sicilia, ed i moti interni del regno; dimandò libero consiglio: i consiglieri, osservando l'esercito spicciolato tra Reggio, Carpi e Ravenna (cento miglia italiane), senza seconda linea, senza riserva, di modo che un impeto ed una fortuna potea decidere della guerra, e vedendo le forze e le posizioni nemiche assai più potenti delle proprie, deliberarono di tenere i luoghi attualmente occupati, solo per aver tempo da mandare indietro gli ospedali e i bagagli; e che, non deposta la prima speranza, si cercassero altri campi e terreno più adatto a combattere schiere maggiori.
Allo sciogliere dell'adunanza il re ordinò: che le tre legioni, fortificandosi nei campi, ristessero dall'assaltare il nemico, o, assalite, il trattenessero volteggiando, non combattendo; che fusse di Toscana richiamata la inoperosa Guardia per le vie più brevi di Arezzo e San Sepolcro; si scegliessero nuovi campi dove i monti Appennini, accostando al mare Adriatico, con le ultime pendici toccano il lido; e si raccogliessero in Ancona tutti gl'impedimenti dell'esercito.
LXXXIV. I Tedeschi su la riva sinistra del Po crescevano di nuove schiere spedite con gran celerità dall'Alemagna, si che i ventiquattromila combattenti del cominciar della guerra in tre settimane doppiarono; aumentarono i presidi e i provvedimenti di tutte le fortezze transpadane; Venezia si affaticava alle difese; e di tante sollecitudini erano motivo la troppa temuta dell'Austria, come già troppo sperata da Gioacchino, italiana rivoluzione.
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