Lo conobbe il nemico ed andò ad assaltarle, lo conobbero le assalite schiere e trepidarono; il primo quadrato, dopo breve contrasto, si scompose, e, senza comando di ritirarsi, sparpagliato e ribelle tornò alla collina; un secondo quadrato seguì l'esempio, gli altri due ch'erano a mezza costa, furono con ordine richiamati. Tutte quelle schiere sostenute da poderosa batteria di cannoni si ricomposero, il nemico ritornò intero al suo campo, noi perdemmo di morti e feriti pochi uomini, tra' quali ucciso il duca Caspoli, ordinanza del re, adulto appena, bello della persona, animoso in guerra, caro alle squadre. Ma nostro danno maggiore fu l'esempio a' due eserciti della temenza e contumacia di una legione, tal che il nemico, se inseguiva i fuggiaschi, avrebbe presa o dispersa l'ala diritta della nostra linea, disfatto il resto, e per arti ed armi finita in quel giorno la guerra. Ma il destino negava ogni gloria a' Tedeschi e serbava a' Napoletani altri dolori e vergogne.
Gli Alemanni irresoluti, i nostri discorati, sanguinoso il combattere, ma inutile, duemila delle due parti giacenti nel campo morti o moribondi, cadente il giorno, stanchi i soldati, cessarono senza accordo, ma per comune bisogno le offese, e i due capitani ordinavano per il dì vegnente nuova guerra. Quando il re, scoperta su le alture di Petriola la mezza legione del general Maio, andandole incontro per disegnare il campo, vidde in lontananza due corrieri frettolosi. Gli aspettò, e seppe che gl'inviava, l'uno dagli Abruzzi il general Montigny, l'altro da Napoli il ministro della Guerra, portatori di lettere da consegnare nelle sue mani. Montigny riferiva le sventure di Abruzzo, presa Antrodoco da dodicimila Tedeschi, datasi l'Aquila, ceduta a patti la cittadella, sciolte le milizie civili, commossi i popoli per la parte de' Borboni, voltato de' magistrati lo zelo ed il giuramento, e lui con pochi respinto a Popoli.
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