Riferiva il ministro la comparsa del nemico sul Liri, lo sbigottimento da' popoli, i tumulti di alcuni paesi della Calabria'. Alle quali nuove Gioacchino smarrì il senno; e, credendo il regno vicino a perdersi, stabilì di accorrere al maggior pericolo, e (con improvvido, ma suo consiglio) ritirar l'esercito nelle proprie terre.
Dispose la ritirata: il general Millet scrisse al general Pignatelli di subito ridurre la sua legione a Monte Olmo, ed indi a poco, riconosciuto l'errore del ""subito"", lo avverti a voce, per altro messo, di non muovere innanzi della notte. Ma volendo il Pignatelli seguir l'ordine scritto e primo, il capo del suo Stato maggiore, un colonnello della Guardia, altri uffiziali di grado e di esperienza lo pregavano a non dicampare scopertamente, a fronte di nemico più forte e felice; pensasse che la sua legione era il perno del campo, riguardasse le altre star ferme, ed il re colà presso, che, richiesto, direbbe quale de' due comandi fosse il vero. Ma quei consigli, quei prieghi, la ragion militare e la prudenza, nulla poterono; e di chiaro giorno, a tamburi battenti, la fortissima posizione, mal difesa allo spuntare del sole, disputata al meriggio, cagione di morte a tanti prodi, fu al tramontare abbandonata da noi, occupata dal nemico senza guerra. Divennero allora i nostri pericoli gravi ed urgenti: la linea divisa nel centro, ogni ala presa di fianco, la ritirata delle altre legioni non preparata, la prigionia dell'esercito certa e vicina, se il nemico andasse celere agli assalti, o lento il re ai rimedi. Ma questi, animato dalla grandezza del caso, spedì molti ordini, comparve in tutti i luoghi, capitano e soldato infaticabile, comandò, eseguì, ed in brevissimo tempo tutte le sue squadre, ordinate a scacchiera, combattendo, riconduceva.
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