Egli, ultimo, sbarrò di sue mani, con alberi tagliati, l'entrata di una stretta, mentre uno squadrone di cavalleria nemica facea sopra lui ed i pochi suoi seguaci fuoco vivissimo. E fu così vicino il pericolo e così visto, che il general Bianchi punì il capo dello squadrone di non aver preso il re. Era già notte, riposarono i Tedeschi ne' felici campi della vittoria; andarono i Napoletani a Macerata.
XCI. Superato il più imminente pericolo, disegnati i campi per la notte e le mosse del vegnente giorno, Gioacchino alloggiò a Macerata. E mentre stava pensieroso ed afflitto, un aiutante di campo del general Aquino, in quel punto arrivato, ansio di parlare al re, gli disse ch'egli veniva nunzio della morte o prigionia del suo generale, e del general Medici, non che del disfacimento dell'intera legione seconda nel combattimento poco innanzi accaduto. Era un nuovo scontro co' Tedeschi inatteso; e, per le posizioni di quelle schiere, non credibile, sicché il re, meravigliato, dimandava le particolarità del successo; allorché giunsero i generali Aquino e Medici che, fingendo aver per la notte smarrita la diritta via, imbattutisi nel campo nemico, avevano perduti molti soldati morti o feriti, più prigioni, disperso il resto. Né quel racconto era compiuto, che giunsero Pignatelli e Lecchi; e l'uno disse che la sua legione era sbandata, l'altro, che il general Maio tornava disordinatamente, avendo abbandonato il prefissogli campo di Petriola, perocché della intera terza legione era l'animo abbattuto e contrario. Pareva ribalderia concertata, ma era comune indisciplina, palesata nel pericolo, fatta sicura dalle aversità e dai disordini.
Il re adunò Consiglio. Esaminate le particolarità di quei racconti, apparve chiaro che i soldati, affaticati e male usati all'obbedienza, sparsi per le campagne e i villaggi, andavano in cerca di vitto, di ricovero e di guadagno; e che i generali, scontenti e stanchi di quella guerra, mentivano il proprio difetto del guidarli.
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