Quelli furono gli ultimi favori della sorte alle bandiere di Napoli.
Il re sperava congiungere le schiere che seco menava dalle Marche alle altre del general Macdonald, riordinarle in Capua, trarre dalle province nuovi armati, e, lasciando presidiate Ancona, Pescara, Gaeta e Capua, radunare quindicimila soldati dietro la linea difensiva del Volturno, muoverli, combattere, temporeggiare, e, se ai cieli piacesse, ripigliare animo e fortuna. Perciò cautamente ritiravasi, evitando gli scontri, e tenendo le schiere sempre in linea, onde giungessero contemporaneamente per le vie del Garigliano, di San Germano e degli Abruzzi. E di fatti a' dì 16 il reggimento dei granatieri della Guardia accampava in Sessa, la quarta legione in Mignano, la prima a Venafro, le altre squadre, spicciolate, entravano nella fortezza. Ma in quella notte è assalito il campo di Mignano, dove la quarta legione, mal guardandosi, aveva le ordinanze più di cammino che di battaglia. Di fianco investita da sopra i monti di San Pietro, infine il retro-guardo si scompigliò, e disordinatamente ritiravasi. Il generale la soccorse di un reggimento di cavalleria, che, offeso dall'alto, dove i cavalli non giungevano, retrocedé a briglia sciolta; e le schiere accampate in Mignano, al calpestio crescente e vicino, sbalordite dalla notte, da' fuggiaschi e dalle passate avversità, travedendo nemici nei compagni, tirarono ciecamente sopra loro. E quegli alle offese rendevano offese, non per inganno né per vendetta, ma perché, raddoppiato il pericolo, volevano far libera la fuga. Confusione orrenda, irreparabile: la voce dei capi non intesa, non viste le bandiere, non obbedito il comando. Chi si crede sorpreso e chi tradito, s'intrigano le schiere, ogni ordine si scompone, abbandonano il campo e fuggono.
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