All'antico processo, oscuro, iniquo, era succeduto il dibattimento. Si trovò un codice sapientissimo di commercio.
La finanza pubblica, che prima componevasi di tributi vaghi e vari, derivati da vecchi abusi feudali, come il testatico, l'adoa, il rilevio; o da pretesti, come la "nave bruciata", il "dono gratuito"; o da buone cause, come il dazio del sale, del tabacco, delle decime: la finanza pubblica, rozza nei suoi principi, confusa ed ineguale negli effetti, fu lasciata ricca ed ordinata; misura de' tributi la rendita, gli "arrendamenti" ritornati al fonte della finanza, chiarito ed ordinato il debito pubblico, fondata la Cassa di ammortizzazione, disegnata quella di sconto. Due tarli, avidità e discredito del Governo, generati dagli usi e dalle incertezze della conquista, rodevano la finanza; pace e stabilità erano i rimedi, ma in potere del tempo. L'amministrazione delle comunità e delle province, licenziosa innanzi, si trovò ordinata: a' prèsidi, che avevano potere misto, vario, inefficace, succederono gl'intendenti; ed alle pratiche incerte di amministrazione, leggi e regole, forse troppe. Dalle comunali ricchezze, accresciute delle spoglie della feudalità, derivarono benefizi privati e pubblici: prendevano cura delle comunità i decurionati ed i consigli di distretto, di provincia, di Stato; e poiché alle numerose pubbliche congreghe è insito l'amore ed il vanto delle ragioni dei popoli, l'amministrazione fu nel regno istromento di libertà.
I conventi erano disciolti; la feudalità sradicata: molte violenze colpirono gli antichi baroni, ma necessarie, ché non si rinnovano gli Stati come si mantengono: bisognando misura e forme a mantenerli, necessità e vigore a rinnovarli.
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