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      Morale cambiamento attivo, fecondissimo.
      Il popolo, travagliato per venti anni da fortune contrarie, ricordava le ingiuste persecuzioni del 93, la tirannide del 99, il dispotismo de' seguenti anni, le fallacie della moderna libertà, la rapina e la superbia degli eserciti stranieri, la invalidità del proprio esercito. Numerava le promesse mancate, i giuramenti spergiurati, gl'inganni fattigli per trarne profitto di dominio e di lucro. Sapeva che re antichi e re nuovi, non curando le persuasioni de' soggetti, avevano comandato, i primi col prestigio, i secondi colla forza. Ma oramai, dissipato il prestigio e spezzata la forza, erano i borbonici e i murattiani pochi; e la maggior parte dei pensanti, settari o liberali, non discontenti della caduta di Gioacchino, solleciti e sospettosi del successore.
      I popoli e i principi si osservavano a vicenda, ricambiandosi i timori e le speranze. All'universale desiderio della indipendenza nuovamente surto, siccome ho detto, negli ultimi anni, avevano i vincitori contraposto il domma politico della legittimità, la quale, se restringevasi al ritorno degli antichi re, avrebbe ricordato i mali che quelli operarono, e dato sospetto che per vendetta e per genio distruggerebbero della civiltà nuova per fino le cose giovevoli a loro; ma i re fecero miglior promessa, e il popolo fu lieto in udirgli, ravveduti e modesti, confermare alcuni le buone leggi, e promettere tutti franchigie nuove; e sentì rassicurarsi al vedere governo moderato in mano dei vecchi reggitori, ammaestrati dalle sventure, invece che dei nuovi, guasti dalla fortuna, eccessivi nel comando, abili a rompere ogni freno. Sperò quindi il popolo nella pace un nuovo patto, stabile e a tutti egualmente profittevole, del quale gli erano argomento gli editti stessi dei re.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





Gioacchino