Il dì 4 giugno arrivò il re in Baia, il 6 a Portici, dove, invitati, si adunarono i generali murattiani e borbonici. Lo sguardo del re scorreva sopra tutti benigno ed uguale, ma le due parti biecamente guatavansi e dispettose; l'una era vinta, né l'altra vincitrice; scambiavansi occultamente le false ingiurie d'infedeltà e di servaggio; all'ambizione degli uni pareva intoppo la nuova politica del re, all'ambizione degli altri il suo vecchio favore. Erano eguali tra loro l'odio e il disprezzo.
Il re, tre giorni dopo, fece pubblico ingresso in città, stando a cavallo con piccolo corteggio; erano mansueti i destrieri, semplici gli arredi e i vestimenti, contraposti allo splendore ed al lusso del re Gioacchino. E perciò il volgo, querulo sempre, chiamava quello "re da scena", e chiama ora questo "re contadino"; la pompa del primo prodigalità, la modestia dell'altro avarizia. Si fece festa per vari giorni e sincera; gli addolorati della caduta di Murat sospiravano, ma sommessamente, perché quel dolore non aveva cagione pubblica: era pietà, gratitudine, amicizia, mesti e taciti sentimenti del cuore.
V. Ma i moti prodigiosi della Francia dopo il ritorno di Buonaparte dall'Elba e la vastità del suo ingegno e della fortuna adombravano le prosperità del Governo di Napoli, quando giunse la nuova della battaglia di Waterloo, ancora ignorandosi quella di Ligny, perciocché la fama questa volta fu contro suo costume più celere nei lieti annunzi che nei contrari. Con feste la vittoria fu celebrata. Il comandante di Gaeta, che ancora combatteva sotto l'insegna di Murat, a quello avviso cedé la fortezza; Pescara ed Ancona erano state cedute mesi innanzi: delle quali tre cessioni è debito ch'io favelli.
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