Per altro decreto fu richiamato ad esame un giudizio feudale, deciso, prescritto; e la novella sentenza, di magistrato composto ad arbitrio, fu in danno della comunità, in benefizio del duca d'Ascoli, favorito del re.
Antica lite tra il duca di Diano e 'l marchese di Villanova era stata nel decennio decisa e prescritta a pro del primo, divenuto possessore legittimo e sicuro di patrimonio ricchissimo. Ma il Diano era odioso al re Borbone, il Villanova era caro, e perciò la lite essendo rianimata per lettere regali nel 1815, timori nell'uno, speranze nell'altro si suscitarono; allorché la indegnazione del pubblico, il grido, lo scandalo, il sospetto rattenendo gl'impeti del dispotismo non del favore, il re decise che rimanesse il Diano pacifico possessore delle guadagnate ricchezze, ma si concedessero al Villanova ducati duecentomila dalla cassa dello Stato.
Gli arbìtri duravano. Accusati di alto tradimento ed imprigionati l'intendente Santangelo, il colonnello Sponsa ed altri gentiluomini di Basilicata, dopo un mese di aspro carcere e di silenzio, dimandarono il giudizio, ma non fu concesso, né sciolte quelle catene; né la Polizia, come per leggi doveva, trasmise a' magistrati ordinari la cura del processo. Indi a parecchi altri mesi i due furono liberi e tornati in carica, e benché dimostrata calunniosa l'accusa e false le carte presentate dagli accusatori, restarono questi delle nequizie impuniti come amici alla monarchia.
Fra' militari serbati in impiego per il trattato di Casalanza era il general Zenardi, maledico, avido, cattivo in pace, pregevole in guerra. Il Governo voleva punirlo di non so quali falli del decennio, e la città ne fu spaventata, temendo il primo esempio di politica vendetta; gli altri generali provvidamente lo difendevano, più potendo in loro il comune pericolo che la privata ambizione, così che il re, sospendendo il cominciato giudizio, scacciò Zenardi in esilio.
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