Ho detto le sventure di lui nella guerra d'Italia, e la fuga dal regno, e come in Ischia, restato un giorno, prese asilo sopra piccolo legno che navigava per Francia. Traversando il golfo di Gaeta, vedendo su le torri sventolare la sua bandiera, pensando che i suoi figli stavano tra quelle mura, e oltre ciò l'impeto naturale ed il lungo uso di guerra lo spingevano ad entrare nella fortezza; ed ivi combattere, non a speme di regno, per disperato consiglio; ma parecchie navi chiudendo le entrate al porto, egli, addolorato, prosegui a navigare verso occidente.
Giunse a Fréjus il 28 maggio, ed approdò al lido istesso che il prigioniero dell'Elba, due mesi avanti e con fato migliore, avea toccato. Sulla terra di Francia mille pensieri e memorie lo agitavano: le primizie del suo valore, le fatiche, le fortune, il diadema, il nome; e dall'opposta parte gli ultimi fatti della guerra di Russia, l'ira di Buonaparte, le pratiche coll'Austria e con la Inghilterra, l'alleanza e la guerra contro la Francia, l'abbandono e la ingratitudine. Le avversità avevano ammollito quell'animo, e prevalendo il timore alla speranza, non osò recarsi a Parigi, si fermò a Tolone.
Scrisse lettere al ministro Fouché, suo amico nelle prosperità, e diceva: "Voi conoscete i motivi ed i casi della guerra d'Italia; or io in Francia offro all'imperatore il mio braccio, ed ho fede che ai cieli piacerà di ristorare le sventure di re colle fortune di capitano". Fouché presentò il foglio a Buonaparte, che richiese qual trattato avesse egli fermato col re di Napoli dopo la guerra dell'anno 14: così ricordando e vendicando le offese. Gioacchino restò in Tolone, venerato da quelle genti, o che fosse pietà della sua sventura, o memoria dell'antica grandezza, o sospetto di novelle fortune.
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