Ambizioso, indomabile, trattava colle arti della guerra la politica dello Stato. Grande nell'avversità, tollerandone il peso; non grande nelle fortune, perché intemperato ed audace. Desidèri da re, mente da soldato, cuore di amico. Decorosa persona, grato aspetto, mondizie troppe, e più nei campi che nella reggia. Perciò vita varia, per virtù e fortuna, morte misera, animosa, compianta.
XVIII. Addolorati ancora per i fatti del Pizzo erano i Napoletani allor che venne caso più grande di pietà e di spavento: la peste entrò nel regno. Appena da pochi mesi era spento in Malta quel morbo, quando risurse in Dalmazia, e quasi al tempo stesso a Smirne ed in alcuni villaggi dell'isola di Corfù, e, girando l'Arcipelago, a Scutari e Salonicco; era di nuovo apparso per la bestiale ignavia de' Turchi nei sobborghi di Costantinopoli; a distanza infinita travagliava gli abitanti di Cadice. E ne' giorni medesimi si apprese in Noia, piccola città della Puglia che l'Adriatico bagna, popolata di cinquemiladuecento abitanti. Avidità d'illecito guadagno la introdusse con alcune merci, non so se da Dalmazia o da Smirne, perciocché l'autore del controbando o debitamente morì, o si nascose per evitar la pena e l'infamia del gran misfatto.
Nel dì 23 novembre morì Liborio Didonna, e nel dì seguente Pasqua Cappelli, sua moglie, settuagenari, poverissimi, ignoti per fino in patria, ed ora l'istoria registra i loro nomi (infausta celebrità) perché prime vittime della pestilenza. Questa, sconosciuta ancora, si diffuse nelle genti più misere, perché vili erano le materie appestate, o perché la fortuna è più crudele agli afflitti. Le case de' ricchi, durando illese, non credevano contagioso quel morbo; ma un tal giovane Lamanna, dissoluto ed arrischiato, praticando alla spensierata fra donnesche lascivie, ne fu tocco, portò il male nella famiglia, ed indi a poco tutti i ceti della sventurata città ne furono presi o minacciati.
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