Si riabbracciavano i congiunti, gli amici, e tutti a processione recaronsi alla chiesa per cantar inni di grazie. Universale fu la gioia; ma ne' seguenti giorni ciascuno trovandosi orbo di padre, o di consorte, o di figli, durevole mestizia serbò nel cuore.
XX. Una notte si apprese il fuoco al magnifico teatro di San Carlo, e fu caso. Le poche genti che là stavano per le prime prove di un dramma, fuggirono spaventate; e le grida e i globi di fumo divolgando il pericolo, si accorse da tutte le parti della città, ma già tardi. Crebbe l'incendio: esce il re e la famiglia dalla contigua reggia; la immensa mole del tetto, superata dal fuoco, rende fiamme impetuose e lucenti, tanto che le riverbera il monte Sant'Elmo e 'l sottoposto mare: attonito e mesto il popolo rimirava. Il cielo da sereno diventò procelloso; ma tale il vento spirava, che le fiamme lambivano i nudi ripari del Castelnuovo; e maggiore ventura fu la brevità del pericolo, perché aridissima ed oliata era l'esca del fuoco. In meno di due ore quel nobile albergo delle arti fu incenerito, e si conobbe il fallo (né perciò corretto) di aver disciolte, per finanziera avarizia, le compagnie dei pompieri, guardie del fuoco.
Al dì vegnente entrammo nell'arso edifizio, e n'era l'aspetto come delle antiche rovine di Roma o Pesto: se non che le presenti, per la fresca memoria de' superbi dipinti del Nicolini e delle armonie del Rossini, ci apparivano più gravi e più triste. Si trovarono calcinati marmi e graniti, fuso il vetro e i metalli. Volle il re che in breve tempo fosse rifatto, e sorgendo al quarto mese più bello dell'antico, lasciò incerto qual de' due re dovesse averne maggior lode, il padre o il figlio.
XXI. Nell'anno istesso magrezza di ricolto fu a' poveri cagion di fame, costando il grano ducati venti al cantaio.
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