Non è finito il tempio ora che io scrivo.
XXII. La Polizia restò per molti mesi discreta ed inosservata nelle mani del cavalier Medici, però che le massime benigne del congresso di Vienna duravano. Dipoi ne fu ministro il principe di Canosa, del quale dirò l'origine, i costumi e le arti. Nato in Napoli di nobile famiglia, visse oscuro sino al settimo lustro di età, quando per merito del casato entrò nel consiglio della città. Era l'anno 1798 allorché l'esercito francese guidato da Championnet stava nemico alle porte di Napoli; non vi era re né reggente, perché fuggiti; non esercito, perché sciolto; il popolo tumultuava, i repubblicani si adunavano in secrete combriccole. Convocata in consiglio la municipalità per provvedere a' pericoli, Canosa disse: il re decaduto giustamente per lo abbandono che aveva fatto del regno; e doversi allo Stato novello reggimento, l'aristocratico. La qual sentenza, vana, impossibile (due sole specie di governo contendevano, monarchica e popolare) destò riso negli uditori; ed a lui poco appresso tornò in pianto, perché, insospettitane la democrazia fondata dal vincitore, il Canosa fu posto in carcere. Ne uscì alla caduta di quel Governo, e come il folle desiderio di aristocrazia, infesto alla repubblica, lo era del pari al monarca, fu il Canosa condannato a cinque anni di prigionia; di sei voti tre furono per la morte, i tre più miti prevalsero; e la sola volta che l'empia Giunta di Stato sentisse pietà, fu per uomo che indi a poco spegnere dovea mille vite. Era in quella pena quando, per la pace di Firenze fatto libero, tornò privato ed oscuro alla famiglia. Ma nel 1805, la Corte napoletana di nuovo fuggendo, egli offerse alla regina i suoi servigi, ed accolto, passò in Sicilia.
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