Politica infernale moveva in quel tempo la casa dei Borboni; o ch'ella sperasse il rinnovamento dei prodigi del 99, o che la prosperità del regno perduto le fosse odiosa, pose ogni arte ad agitarlo colle discordie civili: spedì Fra Diavolo, Ronca, Guariglia in varie province, tessé congiure, rianimò gli smarriti campioni del 99, profuse doni e promesse, diede premio ai delitti. E acciò regola e durata avesse quello inferno, si voleva per le trame un orditore sagace, ai ribaldi un capo, alle congiure un centro non lontano dal regno: a tale uffizio andò Canosa su lo scoglio di Ponza.
Era in quell'isola un ergastolo, ch'egli dischiuse: con quei galeotti e con altri pessimi, condotti da Sicilia o attirati da Napoli, ordì nel regno per cinque anni trame, ribellioni, delitti, e fu cagione di mille morti, o da lui date, o dall'avversa parte per vendetta e condanne. Mancò quasi materia al brigantaggio; e, nell'anno 1810, Canosa, non sazio, tornò in Sicilia. Trovò la Corte amareggiata da lord Bentinck, ed indi a poco vidde espulsa la regina, il re confinato, ed il civile reggimento rivolto a tale che per Canosa non era luogo. I servigi di Ponza non altro gli fruttarono che la promessa del ministero di Polizia qualora piacesse ai cieli di rendere al legittimo re il trono di Napoli.
Funesta promessa, mantenuta nell'anno 16. Era nel regno la setta dei Calderari che dovea per voti sostenere la monarchia dispotica, opprimere i Carbonari, i Liberi-muratori, i murattiani, i liberali: ed erano calderari uomini malvagi, che provenivano dalle disserrate prigioni nei tumulti del 99, dalla anarchia di quell'anno, dal brigantaggio del decennio, e dalle galere di Ponza e Pantelleria. Molti in quindici anni o nei cimenti o per condanne furono morti, e pur troppi ne lasciò vivi l'ira della fortuna; i quali speravano, al ritorno dei Borboni, trionfi e potere, ma, respinti dalla politica, si nascosero.
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