Il Consiglio, diviso in tre camere, provvedeva all'amministrazione delle comunità ed alle fondazioni pubbliche o religiose, ma non punto alle gravezze o alla finanza, né alle amministrazioni di Stato e di provincia. Il voto era consultivo, l'esame segreto sopra mandato di un ministro, ed a quello istesso rispondeva il Consiglio; e perciò non censura o ritegno, ma baldanza ed aiuto a' ministri: tralcio di assoluta potenza, ingrato al popolo.
Altre due leggi, pure di quel giorno, riordinarono il Consiglio di Stato e il Ministero: il primo non avea facoltà né tornate ordinarie; sceglieva il re i consiglieri che gli piaceva di udire; il voto consultivo; segrete le adunanze e i pareri: non era dunque parte o corpo dello Stato, ma semplice forma di governo, e talora velame di consiglio alle voglie libere del re. Il Ministero fu diviso in otto segreterie di Stato; la Polizia non ebbe per caso un ministro, ma più modesto magistrato, chiamato direttore: migliorò il nome, restarono le cose.
Con le riferite ordinanze era mente del re spegnere di coperto le costituzioni della Sicilia. I Siciliani riempivano la quarta parte della Cancelleria, del Consiglio di Stato, del Ministero; si dicevano eguali le condizioni delle due Sicilie; il Governo risederebbe quando in Napoli, quando in Palermo; nessuna preminenza fra le due parti del regno. Il duca di Calabria fu eletto luogotenente del re in quell'isola; dove l'amministrazione, la finanza, la giustizia, tutte le parti di governo resterebbero indipendenti; confermati i tributi dell'anno 15, que' medesimi decretati dal Parlamento; fu dichiarato che senza il voto di questo nessun'altra taglia sarebbe imposta nell'avvenire. Con queste carezze ed infingimenti il Governo sperava di addolcire ne' Siciliani l'offesa e 'l dolore delle perdute libertà; non più il Parlamento fu convocato, non più la stampa fu libera, né più i cittadini dalle leggi fatti sicuri.
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