Il quale tassava i tributi, non potendo imporre il Governo se non per casi urgentissimi, come il riscatto del re prigioniero, la invasione di nemici esterni, le interne rivoluzioni, o altro sconvolgimento instantaneo e di gran mole; ed anche allora l'arbitrio del re fra stretti limiti si volgeva. Gli Aragonesi avevano aggiunto al Parlamento altre facoltà, che i re successori rivocarono, lasciando intera la sola ed antica su i tributi. Cosi stettero le cose insino all'anno 1810. Io, riandando le costituzioni di tempi e popoli che chiamiamo barbari, dico sovente a me stesso che le più dure catene sono per noi, che ci vantiamo secolo di civiltà.
XXVII. Nel 1810 il re Ferdinando, scacciato da Napoli, già da quattro anni confinato in Sicilia, minacciato dal re Murat, costretto a mantenere per difesa e speranza un esercito, volendo per segreti emissari tener viva la sua parte nel regno perduto, e la dignità del nome per ambasciatori nelle Corti straniere; scarsi a tante spese i tributi dell'isola e i soccorsi dell'Inghilterra, egli adunò Parlamento, e, mostrando nell'opposta Calabria gli apparati del nemico, dimandò sussidi pari a' bisogni ed alla grandezza del pericolo. Il Parlamento ne diede, ma non quanti si speravano; ed aggiunse al piccolo dono patti gravosi. Quel re andava proclive allo sdegno; i suoi ministri, napoletani e sconosciuti, avevano in odio la Sicilia; e perciò, spregiando le ragioni del Parlamento e dello Stato, rispettate per otto secoli da trentuno re, il re Ferdinando vendé i beni delle comunità ed impose tributo gravissimo sopra i contratti. Cosi l'antica siciliana Costituzione fu distrutta.
Il Parlamento protestò; e tre membri, a nome di tutti, firmarono un foglio spedito al re, che, più acceso di sdegno, non rivocò i decreti, non adunò altro Parlamento: crebbero dalla opposta parte i lamenti e 'l dispetto.
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