Il Governo promise vendetta dell'assassinio. Il generale Amato, che comandava nelle Puglie, mandò in cerca dei profughi (che pur Vardarelli, onorandosi del nome, si chiamavano), e per lettere accertò che il misfatto di Ururi sarebbe punito, che il trattato del 6 luglio reggeva intatto, che altro capo eleggessero. Erano trentanove quei tristi: scompigliati, intimiditi, creduli alcuni, altri confidienti, ed in molti serpeva l'ambiziosa speranza di esser primo. Restarono cheti, ma più guardinghi. Una squadra di soldati andò in Ururi; degli omicidi altri furono imprigionati ed altri fuggiaschi; si ordinò il giudizio, si fece pompa di severità.
Dopo le quali apparenze il generale chiamò a rassegna i Vardarelli nella città di Foggia, e promise di eleggere, a voti loro, il capo e i sottocapi della squadriglia: ed eglino, dopo varie sentenze, si recarono al destinato loco, fuorché otto, contumaci all'invito. Era giorno di festa: la piazza scelta per la rassegna stava ingombrata di curiosi, quando vi giunsero i Vardarelli, gridando: - Viva il re, - ed avendo spiegate solennissime, a modo loro, vesti ed arredi. Il generale dal balcone faceva col sorriso cenni di compiacenza; e il colonnello Sivo, disposti in fila quei trentuno, li rassegnava; e lodando la bellezza ora dell'uomo, ora del cavallo, facea dimande, scriveva note; dall'alto il generale anch'egli con loro conversava; infine il colonnello si recò a lui, e credevasi, per la scelta dei capi: restarono i Vardarelli in piedi, ciascuno innanzi al suo cavallo. Per due ore furono tenuti a rassegna, nel qual tempo le squadre napoletane avevano di nascosto circondata la piazza, ed attendevano il convenuto segnale a prorompere.
XXX. Levossi il berretto il generale Amato (era questo il segno), e ad un tratto avanzarono le colonne colle armi in pugno, e gridando: - Arrendetevi.
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