Scoppiò la collera, come in Gioacchino soleva, sconsigliata e superba; proscrisse la setta, perseguitò i settari, gli chiamò nemici del Governo. E da quel giorno i nemici veri ascrivendosi alla Carboneria, i buoni e i circospetti la fuggivano, vi entravano i tristi e i temerari.
Dichiarata la setta, per editti e supplizi, nemica di Gioacchino, mandò emissari in Sicilia, bene accolti dal re, e meglio da lord Bentinck, che in quel tempo disegnava opere più vaste. E perciò nemica di un re, di altro re fatta amica, vezzeggiata da' grandi, credendosi la speranza di alte italiane venture, non pur setta estimavasi, ma potenza. E crebbe di arroganza nel cominciare dell'anno 15, perché di amicizia la richiese (quasi pentito) Gioacchino, travagliato dalle avversità di fortuna e di guerra. Ed ella, già vôta di uomini di senno e di virtù, perdendosi nella gioia di sognate grandezze, promise a tutti il suo braccio, non tenne fede ad alcuno, non diede a patti la sua amicizia, non dimandò leggi o franchigie: ignorando essere natura de' grandi farsi umili nel bisogno, e dipoi spregiatori ed ingrati. Ma pure in tanta stoltezza ella cresceva, cosi essendo le sètte, che la prosperità o l'avversità le ingrandisce, la mediocrità le distrugge, i grandi beni, i grandi mali, troppi stimoli, troppo freno sono loro alimento, e perfino la sferza del carnefice non è flagello, ma sprone.
La caduta di Gioacchino nell'anno 15 piacque a' carbonari, che, ricordando i colloqui di Sicilia, speravano dal re Ferdinando sostegni e favori. Ma quegli riprovò la Carboneria, ne impedì le pratiche, lasciò i carbonari delusi e sconcertati, cosi che non osavano di adunarsi: erano nel regno mille e mille settari, nessuna setta.
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