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      Seguì la tirannide del 99, seguirono i dieci anni dei re francesi, il popolo s'incivilì, ed una tacita legge agraria divise fra' popolani le proprietà de' baroni e della Chiesa. Nel 1815, ritornato al trono Ferdinando IV, sostenne o mutò leggermente gli ordini del decennio; per lo che vi erano, come innanzi, codici eguali, indi giusti, finanza grave, ma comune, amministrazione civile rigida, ma sapiente; e poi per leggi, come che offese talvolta, la Polizia senza arbitrio, il potere giudiziario indipendente, i ministri del re e gli amministratori delle rendite nazionali soggetti a pubblico sindacato; e finalmente decurionati, consigli di provincia, Cancelleria, tutte congreghe di cittadini e magistrati, attendenti al bene comune; le quali leggi e statuti componevano una quasi libera Costituzione dello Stato. I governanti erano benigni, la finanza ricca, s'imprendevano lavori di pietà ed utilità pubblica, prosperava lo Stato; felice il presente, felicissimo si mostrava l'avvenire, Napoli era tra' regni di Europa meglio governati, e che più larga parte serbasse del patrimonio delle idee nuove: erasi versato a pro suo tanto sangue nel mondo!
      Da che dunque nascevano le contumacie dei soggetti, i tumulti, le ribellioni? Che mancava alle speranze pubbliche? La persuasione del popolo. L'avevano distrutta le atrocità del 99, gli infingimenti del quinquennio, la storia del re, le pratiche del Ministero, la incapacità di governo; fioriva il corpo sociale, e (maraviglia a dirsi) il capo inaridiva. Credendo che le buone leggi decadessero e la monarchia moderata volgesse all'assoluta, i liberali temevano della persona, i possidenti dei nuovi acquisti, e stimolo alla rivoluzione non era il mal essere, ma il sospetto.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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