Al cominciar del libro io promisi che, descritti i vizi delle varie parti dello Stato, avrei data nome al morbo che lo spense; ed ora dico, sciogliendo la promessa, che furono vizi principali così la scontentezza inopportuna di ogni ceto della società, come il meritato dispregio del Governo, e che morbo apportatore di morte fu la cessata persuasione del popolo.
Se a taluni sembrerà che io mi sia dilungato dal rigore istorico, dirò in discolpa che per me la storia non è solamente narratrice dei fatti, ma espositrice delle cause, giudice delle azioni. Scrivo quindi del mio tempo come di remoto secolo, e comunque io tema biasimo e minor fede dai contemporanei, ho speranza di ottenere credito e lodi dagli avvenire; perciocché i racconti del presente chiamati nemicizia se offendono, adulazione se esaltano, e vendette, o parti, o fazioni, diventeranno istorici documenti quando il tempo avrà spento le passioni della nostra età.
LII. Erano quali io gli ho descritti i settari, l'esercito, la milizia civile ed il popolo, quando la Polizia, prendendo novelle forme, si unì al ministero della Giustizia. L'accoppiamento poteva produrre che la Polizia prendesse le rigorose norme delle leggi, ma invece i magistrati adottarono i modi arbitrari della Polizia; così volendo l'indole umana, impaziente delle sue catene quanto cupida d'imporne. Fu eletto direttore un tal Giampietro, assoluto, costante. I più veggenti pronosticavano politici sconvolgimenti; ma il Governo, sia torpore di mente o di animo, li credeva impossibili, e viveva e reggeva alla spensierata. Se alcuno mai per zelo di carica o di patria rivelava i pericoli n'era preso a sdegno e a sospetto, credendo unicamente a chi lodasse quello stato e presagisse felicità e sicurezza.
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