Il cavaliere Medici, nei regi consigli, aveva rappresentata la Carboneria come vaghezza o delirio di poche menti, ed accertando a re devoto (con astuta menzogna) che i missionari pervenivano col santo mezzo delle confessioni a dissiparla. Ma, da necessità vinto il ritegno, stabilirono verso il tardi del giorno di riferire al re quei successi, attenuando il pericolo per arte di racconto, e con la promessa di tener in pronto i rimedi.
Intanto a quelle nuove il popolo della città bisbigliava, romoreggiavano i settari, le autorità trepidavano, i novatori, gli ambiziosi rallegravansi, tutti presentendo non so quale fatalità nella diserzione di pochi uomini. Il re si voleva trattener sul mare; ma, incorato dalle lettere dei ministri, discese col figlio; e subitamente adunaronsi a consesso: timidi consiglieri di timidi principi, assuefatti a comandar popolo obbediente, non esperti alle rivoluzioni, costernati dalla mala coscienza, ondeggiavano, perdevano ciò che nei tumulti civili ha più forza, le ore. Altro Consiglio di generali, convocato da Nugent, deliberò che il generale Guglielmo Pepe, governatore militare della ribellante provincia, andasse in Avellino a combattere i sollevati, e contenere quei moti. Nugent, certo dello assenso del re, stretto dal tempo, chiamò Pepe, e con parole incitatrici gli impose partire fra quanti pochi momenti abbisognavano per informarne il re e scrivere il foglio dei conceduti poteri. Il generale ne fu lieto, perché, confidando di spegnere quei tumulti, ne aspettava in premio fama e favore; scrisse lettere al comandante militare di Avellino, diede comandi, ordinò movimenti di soldati e di milizie civili; annunziò che presto giungerebbe nella provincia.
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