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      Governavano i murattisti, che, per età già matura, fortuna già compiuta, conoscenza dei popoli ed invecchiate abitudini, piegavano all'antico della monarchia, più che al nuovo della setta. Il solo general Pepe, benché della stessa gente, aveva volontà e persuasioni da carbonaro; ma quel generale, buono al certo ed onesto, era di grosso ingegno, datosi alla rivoluzione, senza possederne le arti, per cupidigia di pubblico bene, non che di propria fama e potenza.
      In alcune province (i due Principati, Basilicata, Capitanata) si composero governi propri, collegati da vicendevoli patti; e gli autori brigavano che le altre province imitassero l'esempio, acciò la Costituzione del regno fosse la confederazione delle province. Ma quelle democratiche fantasie, non essendo nella volontà e nello interesse del maggior numero, ai primi provvedimenti del Governo si dissiparono. Ne restò la impressione e il pretesto, così che i nemici della rivoluzione alzavano grido che l'indole di lei era sfrenata; che la Carboneria, nel primo cimento avventurosa, preparava i secondi, e vagheggiava la piena libertà, la legge agraria, religione sciolta o mutata. Desidèri e voci, forse manifestati da poca plebe, ma impossibili dove la forza del rivolgimento stava nei proprietari, e in un popolo trascurato di religione, in un secolo di comodità e di piaceri.
      Trecento soldati del reggimento Farnese, armati e minaccevoli, disertarono di pieno giorno dal quartiere di Piedigrotta. Altri soldati, per ricevuto comando, li perseguirono; e scontratisi al ponte della Maddalena, combattendo più ore, furono morti parecchi di ambe le parti, e 'l resto dei disertori preso e imprigionato. La guerra in città, le recenti turbolenze, gli animi agitati cagionarono scompiglio: ma così continui erano i disordini, così scatenata la disciplina, così debole l'autorità, che i colpevoli, dopo breve prigionia, tornarono liberi ed impuniti.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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