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      XIX. Erano così meste le cose pubbliche, quando venne in parte a consolarle un foglio del generale Florestano Pepe, con lieto annunzio: che, più volte scontratosi coi ribelli siciliani, gli aveva vinti e fugati, prese le artiglierie e le bandiere, spinta e chiusa la rivoluzione in Palermo; che attendato coll'esercito nelle soprastanti colline, poteva tòrre le acque alla città, ma, in carità, ne concedeva sei ore al giorno; che, dopo tre combattimenti, occupava la Flora ed una delle porte, "la Carolina", sì che l'entrata gli era aperta; ma il riteneva pietà dei Palermitani, nostri concittadini, benché ribelli, aspettando d'ora in ora la loro volontaria sommissione La magnanimità del generale fu laudata, perché indizio di forza, e perché le azioni generose o feroci piacciono ai popoli: ma il re non se ne allegrava, o che lo rendessero indifferente le dubbiezze di regno, o che gli piacesse il prolungato contrasto alla napoletana rivoluzione. Altre nuove della Sicilia giungevano tuttodì, ed agli 11 ottobre pervenne il trattato di pace, ed il racconto degli ultimi fatti di quella rivoluzione; le quali cose riferirò partitamente.
      Poi che i ribelli furono confinati nella città, cadute le speranze, suscitato il timore nei capi, arricchiti gl'infimi, bramavan tutti la pace, ma in secreto, giacché nell'impero della plebe le sentenze dissolute apportano lode, le oneste supplizio. Dell'universale desiderio si avvide il principe di Paternò, che, dopo la popolar disgrazia del cardinal Gravina e la partenza del principe di Villafranca, precedeva la Giunta di governo. Paternò, ricco, nobile, ottuagenario, gottoso, vegeto ancora di animo e di mente, conoscitore astuto della sua plebe, convocandola nella piazza maggiore, le disse: - Palermitani, il nemico è alle porte, noi mendichiamo l'acqua dalla sua pietà, i viveri sono al termine; il ferro, la sete, la fame ci minacciano morte, mentre il pregar delle mogli, il pianger dei figliuoli e 'l consiglio dei padri ci discorano: né fia maraviglia se tra poco, snervati di forza e di animo, crederemo ventura darci agli abborriti Napoletani colle nostre case, donne e ricchezze.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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