All'ora prefissa del vegnente giorno la piazza fu ripiena di popolo, e, giunto il principe Paternò in abito e treno da guerra, innanzi ch'ei parlasse, si alzò grido universale di pace. Lo astuto principe lo aveva previsto; e però col cenno intimato il silenzio, parlò in questi sensi: - Palermitani, poiché vi duole la guerra, tratteremo la pace, né io sosterrò le opinioni di ieri, che oggi dannevoli mi sembrano, sol perché voi le rigettaste. Il nemico anch'egli ridomanda pace, ignorando, per ventura nostra, lo stato della città, e l'abbattimento del nostro spirito, ma non tarderà a saperlo, se tarderemo a trattare. Primo dei nostri bisogni è la prestezza; oggi si dovea combattere, se volevate la guerra; oggi si fermi la pace, però che pace volete. Scegliete negoziatori che abbiano fama ed ingegno, e più che ingegno e fama, la fiducia vostra.
Si gridò dal popolo, il principe di Paternò negoziatore. Ed egli: - Non potrei esserlo, perché l'oratore di guerra mal si trasforma in legato di pace. - Più stimolo fu il ritegno, ed il popolo, ripetendo a romore lo stesso voto, non permise che il principe parlasse, se non quando col gesto affermò di accettare. Ed allora disse: - Giacché lo volete, sarò trattatore di pace, ma unite a me tre compagni da sostener la fiacchezza della mia età e della mia mente. Concedete ai vostri quattro legati piena fidanza, pieni poteri; non rinnovate sopra noi la stessa ingiuria che faceste al principe di Villafranca, pur egli ambasciatore di pace, da voi spedito, per voi fatto fuggitivo e disertore; perché allora (ricordatelo con vergogna) era pericolo tra voi riferire il vero. - Furono aggiunti al Paternò il colonnello Requesenz, l'avvocato..., e prima di muovere dalla città mandarono nuncio al general Pepe del loro vicino arrivo.
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