Quindi Palermo sarà capo di questo regno, la città ribelle avrà trionfato; noi, perché città fedeli, nemiche a lei, saremo oppresse. Se voi tollerate, anzi se voi stessi fate infelice la fedeltà, chi mai più vi sarà fedele? E se la ribellione da voi vincitori è premiata, qual città non sarà ribelle? - Sensi aspri, veri, minacciosi. I Napoletani a torme correvano le strade della città, biasimando quella pace, maledicendo chi la fermò, trasmodando in sospetti e voci di vendetta. Il Vicario a quel romore vituperava anch'egli il trattato, ed il ministro Zurlo, autore delle istruzioni date al general Pepe, spedì tre messaggi al Parlamento per dimostrare che il generale, di sua mente, le aveva trasgredite. Allora nella sala del Parlamento, piena di popolo, il deputato colonnello Pepe (diverso ai generali Pepe per patria, famiglia, animo, ingegno) parlò in contrario di quel trattato, pregò che fosse casso; propose che l'autore (o fosse il general Pepe o fosse il ministro) si assoggettasse a giudizio: e che altro generale con nuove schiere andasse in Sicilia per ridurre le ribellate genti all'obbedienza. Quel parere, seguìto dal Parlamento, fu decretato dal Vicario; l'arringa diede all'oratore fama e favor popolare, e poco appresso sventure.
Il general Pepe, rivocato, ebbe in premio dal re la Gran Croce di San Ferdinando, e dal Vicario lodi e grazie; né saprei dire se quel favore fosse verace o finto, per timore del nome, o per aggradire ai Palermitani, o perché il contrasto al presente stato di Napoli giovasse alla politica, piacesse allo sdegno dei due principi. Il generale, scrivendo al re e pubblicando colle stampe lo scritto, rinunziò i ricevuti onori; perocché, diceva, riprovata l'opera sua (la convenzione del 5 ottobre), non meritava premio l'operatore.
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