Questa che ad immagine chiamerò "crociata politica", dava inquietudine ai monarchi, e più ancora per la natura della napoletana rivoluzione, che, non prodotta da povertà o disperazione, non compagna di delitti, non cagione di danni, lasciando illese le proprietà, la civiltà, le religioni, era solamente un bene scevro di mali, una libertà nuova, bella, facile, innocente. La macchia militare dei centoventisette fuggitivi di Nola era stata dalla fortuna o dal grido pubblico vôlta in gloria, cosi che altri eserciti se ne invaghivano, altri Governi vacillavano, le Costituzioni di Europa in breve tempo muterebbero. E però se grave pericolo era il tollerare quell'avvenimento, se grave il reprimerlo, si voleva, senza guerra, salvare l'impero o 'l prestigio delle monarchie, rendere la Costituzione di Napoli più conforme alle usate in Europa, evitar lo scandalo e la imitazione. La Francia, alla quale più premeva la continuazione della pace, si mostrò inchinevole ad interporsi per gli accordi, qualora il Governo napoletano colle riforme dello statuto sedasse le ragionevoli agitazioni dei potentati stranieri. Ed era opportuno l'officio; perciocché dei re congregati stando pronti gli eserciti, ma sospese le volontà, rattenuti, non so se dalla supposta immensità dei pericoli o dalla ingiustizia di opprimere popolo quieto ed innocente, in quel librare dell'animo molto valeva ogni argomento per la pace o per la guerra.
Se ne aveva anche facile il modo, avvegnaché di riforme consultava il Parlamento. Ma in quel tempo medesimo la setta imperversava, ed il generale Guglielmo Pepe, fidando ai gridi di rassegna ed ai vanti dei settari, era preso di tanta boria, che desiderava la guerra, credea la pace sventura e vergogna.
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