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      In quanto alla partenza del re dimostrò l'utilità di aver nel congresso dei monarchi un monarca sostenitore dei diritti suoi e del popolo; che un re qual egli religiosissimo, nipote per sangue e per virtù ad Enrico IV ed a san Luigi, non potrebbe supporsi mancatore alle promesse, spergiuro a' sacramenti, così sciagurato da calpestare la dignità della sua corona, così snaturato da esporre l'abbandonata famiglia ai pericoli della guerra e dell'odio pubblico. Citò un editto del I° maggio 1815 col quale il re Borbone, mentre le sorti del re Murat vacillavano, prometteva ai Napoletani libera Costituzione; editto veramente ignoto al popolo, ma l'oratore ne portò le parole, lo disse pubblicato in Messina, rivocato e soppresso perché la celere caduta di Gioacchino non abbisognò di nuove spinte. Altri oratori, dopo il Borrelli, parlarono nei sensi medesimi; e fu deciso rifiutare ogni nuova Costituzione, ma permettere al re di partire; purché di nuovo giurasse quella di Spagna, e promettesse di sostenerla nel congresso.
      Si osservò con maraviglia il Parlamento scegliere fra i possibili partiti il peggiore. Poteva accettare intiero il messaggio, e per la spontanea promessa di nuova Costituzione accrescere le ragioni del popolo, le difficoltà dei mancamenti; o poteva rigettarlo in intiero, e tener presente il re, quasi ostaggio e prigione. Ma se poi riconosceva l'offerto statuto come riforma della Costituzione spagnola, e vietava al re di partire, avrebbe avuto nuove sicurezze, nuove speranze, maggior ritegno alla guerra, speditezza alla pace; e questo era, per la natura dei tempi e delle cose, il più sapiente consiglio. Come per l'opposto tutti i benefizi si perdevano col decretare nessun'altra Costituzione che la spagnuola, e libero il re di partire.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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