Non è già che i deputati volessero il peggio; ma, spaventati dalle minacce dei Carbonari, ed inesperti alle rivoluzioni, temevano i pericoli più vicini, non vedevano i futuri, giudicavano durabile quel che men dura, il presente.
Non ancora pubblicata la decisione del Parlamento, il timido re, da' popolari tumulti atterrito, credendo nemici suoi le guardie, i servi, gli stessi presidi delle navi francesi ed inglesi ancorate nel porto, mirando solamente a fuggire, scrisse nuovo messaggio, smentì le sentenze del primo, si giurò sostenitore della Costituzione di Spagna, e, superando le universali speranze, dichiarò che, nel congresso s'ei non bastasse a serbare le ragioni del suo popolo e della sua corona, ritornerebbe in Napoli assai per tempo a difenderle coll'esercito. Raccomandava al Vicario, ai ministri, al Parlamento, al popolo di apprestarsi alla guerra, né cedere alle lusinghe o speranze di pace innanzi che assentissero alla nostra Costituzione i sovrani d'Europa. Ripeté la dimanda che lo accompagnassero quattro deputati, suoi consiglieri nel congresso, e testimoni a noi della sua fede.
Pubblicato questo nuovo messaggio, divolgata la parlamentaria decisione, caddero i sospetti e i tumulti. L'indirizzo che al re manifestava il voto del Parlamento rendeva grazie del proposito di assicurare al popolo le sue libertà, rammentava continuo la santità del giuramento, si scusava del chiesto accompagnamento dei deputati, non a disprezzo del regio invito, ma perché la sua sapienza non abbisognava di consiglieri, né la sua fede di testimoni. Questo scritto fu presentato al re con gran cerimonia da ventiquattro deputati del Parlamento; dei quali l'uno, Borrelli, ne rapportò i sensi con maggior forza della scrittura, come è permesso al discorso.
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