Andò fra gli altri a condolersi il duca d'Ascoli, vecchio amico del re, compagno a lui nei ruvidi piaceri della caccia e nelle dissolutezze degli amori, nelle regie fortune fortunato, alle sventure fedelissimo, che, dopo i rallegramenti del passato pericolo della notte, così gli disse: - Spesso è un bene accanto al male; senza questo accidente non avrei potuto parlare a Vostra Maestà, quando non è indiscreto il richiedere. Ella parte, noi restiamo smarriti, senza comando e senza esempio. Qual sarà il mio contegno? che dovrò fare tra questi turbamenti civili? In carità ed in mercede di antica incorrotta servitù mi palesi la sua volontà, prescriva le mie azioni. - Quegli rispose: - Duca d'Ascoli, farei scusa ad ogni altro della dimanda, ma non a te, che da fanciullezza mi conosci. Dopo il giuramento, le promesse, le patite tempeste, la grave età, il bisogno di vivere riposato, come puoi credere che io voglia guerra co' miei popoli, e nuovi travagli, nuove vicende? Io vado al congresso intercessore di pace; pregherò, la otterrò, tornerò grato a' miei sudditi. Voi, che qui restate, manterrete la quiete interna, e, se avverso destino lo vuole, vi apparecchierete alla guerra. - A' quali benevoli concetti Ascoli pianse, lodò il re, gli baciò la mano e partì. Funeste lodi per lui e funesto pianto, perciocché il re lo sospettò propenso a libertà, e tornando da Laybach, stando ancora in Roma, decretò l'esilio del suo amico.
Il vascello, ristaurato e secondato da' venti e da voti, dopo due giorni salpò. Ma l'ira del popolo, fervente ancora per lo tentato rivolgimento del 7 dicembre, incolpava i ministri, minacciava le guardie, perché gli uni proponitori, le altre sostenitrici del messaggio.
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