E fra tanti pericoli la rivoluzione irrevocabile. La decisione del Parlamento per la guerra, e la gioia pubblica erano stati effetti non del senno, non del valore, non delle speranze, non per fino della disperazione, bensì di quella vaghezza di somma lode che più alletta i caldi popoli delle Sicilie. Ma serenate le menti, i timorosi disperavano di salvezza, i pigri correvano colla fortuna, i contumaci gridavano indiscrete voci di libertà, e gli astuti secondarono il reggente per averlo capo nelle venture, o riparo nei precipizi. In tanta varietà di privati disegni, l'interesse pubblico si trasandava: erano le azioni quanti gli uomini; il Ministero, il Parlamento, l'esercito, la Carboneria, i sostegni di quello stato, dispersi e deboli. Pure alcuni, o sapienti o esperti, ancora speravano nel tempo, negli apparati di resistenza, e nelle negoziazioni col nemico e col re. L'animo dei re contrari era palese: odiavano meno gli effetti della rivoluzione di Napoli, che le sue cause apparenti, la potenza di una setta, la ribellione dell'esercito, l'esempio della Spagna. Mutare i nomi, stringere le licenze, rinvigorire la monarchia, concordare per concessioni alcuna delle libertà strappate colla forza, parevano condizioni possibili di pace.
XXXI. O per veramente resistere, o per porre in mostra mezzi grandissimi di resistenza, bisognava fermare i disegni di quella guerra: perciò il reggente, convocati a consiglio i generali più chiari dell'esercito, disse loro: - La guerra che all'ultima nostra adunanza era dubbia, oggi è certa. Allora la varietà delle opinioni dava motivo e stimolo a rintracciare il vero: ma oggidì sarìa rovina, imperocché per solo accordo di volontà e di opere, è lecito a poco esercito ed a piccola nazione sperar di resistere ad eserciti dieci volte maggiori, e a nazioni sterminate.
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