Ma questo che pareva zelo di patria era in gran parte timore dei Carbonari, i quali in ogni comunità, per salvar sé stessi dai travagli della guerra, minacciando e forzando i più placidi cittadini, gli spingevano alla frontiera. Qualunque fossero le cagioni, quel movimento guerriero era grande, superbo, ammirato per fin dai contrari, spaventoso al nemico. Intanto con mirabile celerità fu provveduto agli arnesi di guerra, armi, viveri, vestimenti; le opere della frontiera munite in un dì, le forze di mare messe in corso.
Si afforzavano le speranze, sol che non mancassero pochi altri mesi alle discipline dell'esercito ed ai maneggi di pace; e pareva che il nemico, sia che dubbioso, sia che lento per comporre insidie, concederebbe il bramato tempo, quando due casi fecero il suo pensiero più manifesto. Un drappello tedesco si portava da Norcia ad Arquata, paesi romani più vicini al regno, tra mezzo ai quali la frontiera non ha segni certi per fiumi o per cunei di monti, ma si rivolge in tanti giri, che or s'incontrano, or si lasciano le terre di Napoli e di Roma. E però quei soldati, venuti a caso nel territorio napoletano, avutone avviso dalla guida, celeremente ritraendosi, presero altra via, lunga, montuosa, disagevole, ma romana. E dopo altri giorni alcuni soldati di Napoli, legnando, s'introdussero nello Stato di Roma, presso a Rieti, ed abbattendosi nelle guardie nemiche, il capo di queste lor disse: - Tornate salvi ai vostri campi, ma se noi rispettiamo il confine napoletano e dei paesi, benché romani, da voi guardati, voi rispettate le terre occupate da noi. - Quei due fatti si divolgarono per i campi e per il regno.
L'esercito tedesco, quarantatremila combattenti, radunato incontro gli Abruzzi, guardava in prima linea, come a scoperta, Montalto e Norcia; in seconda Fermo, Camerino, Tolentino, Macerata; in terza linea o riserva tutto il paese da Foligno ad Ancona.
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