Da lungo tempo le fughe de' soldati scemavano i campi, ma, dopo i narrati disordini, crebbe il delitto; i Dauni e gli Irpini, primi nella rivoluzione del 6 luglio, furono primi a sbandarsi; seguirono quei che chiamavano congedati, poscia i soldati. Alcune compagnie della Guardia munivano le trincere di Monte-cassino; il comandante del presidio, vedendo vicini gli assalti, apprestava le difese, quando i soggetti, ribellando, lo minacciarono, lo spinsero a fuggire, dierono il forte ai nemici. Di già la Guardia istessa diceva che non combatterebbe i Tedeschi perché collegati del re; e dal general Selvaggi, capo di lei, manifestata quella colpa, sfrontatamente come fosse vanto, a' generali maggiori, la tenevano segreta; o che sperassero di correggere il vergognoso proponimento, o che temessero la forza del mal esempio e l'ardire che ne prenderebbe il nemico, o che (pure il mondo lo sospettò) non volessero affrontare i soprastanti pericoli della denunzia e le. punizioni che seguirebbero. E per lo stesso colpevole avvedimento i disertori restavano assoluti dai generali ne' campi, da' magistrati nelle città; facendosi nefando traffico di colpa e d'impunità per futura salvezza. Ne derivò che le milizie, non trattenute dal dovere, non dal timore, trasmodarono ne' maggiori delitti, minacciavano i capi come impedimenti alla fuga, guerreggiavano contro i compagni ancora fidi alle bandiere, uccisero parecchi uffiziali, molti più ne ferirono, scaricarono le armi su i generali e sul generale supremo Carascosa.
Ma sebbene grande il disfacimento dell'esercito, non era intero; perché, standosi ancora sulla destra sponda del Volturno, era il fiume per molti ostacolo al fuggire. Numerose torme giunsero in Capua, e colà (il fiume tragittato, ma le porte chiuse) i contumaci sollevaronsi con voci, moti, tumulti; spregiata l'autorità de' capi, vicina la ribellione.
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