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      Ma grande intoppo facevano le opinioni del pubblico e del ministro, però che il pubblico credeva il ministro fermo nelle pratiche dell'assoluto, e quegli vedeva i potenti della rivoluzione inchinati alle troppe libertà municipali. Era doppio e vero il difetto. Aggiungeva diffidanza e discordia l'ingegno del conte Zurlo, usato a' rigiri della curia, alle dissimulazioni ministeriali, a' comandi del dispotismo: perciò il suo ministero fu campo di liti e di astuzie. Gli succedé il marchese Auletta, che tra 'l poco sapere e il voler poco, chiedeva di uscirne. E, lui uscito, il cavalier de Thomasis, il quale sapeva e voleva; ma per brevità di tempo, fra le sollecitudini della guerra e i vacillamenti dello Stato, nessuna cosa fece di memorabile.
      L'erario era pieno nel 1820; ma per le rivoluzioni di quell'anno, tolti alcuni tributi, le rendite scemate, cresciuti i bisogni, distrutto il credito, le casse del fisco si vuotavano. Si chiese prestanza e si otteneva da case di Londra e Parigi, se il ministro di Finanze, parendogli i patti assai duri, non avesse sciolto i maneggi. Quegli era il cavalier Macedonio, amante ab antico di patria e di governo, dotto in economia, ma giudicandone per sentenze che, spesso fallaci anche nel riposo delle opinioni, fallano assai più ne' tempi di sconvolgimento e di guerra. Il Macedonio, come altrove ho riferito, diede luogo al duca di Carignano, ignorante di quelle scienze, avverso a libero Stato, solo curante del proprio comodo. Crescendo i bisogni e i pericoli, divenuta impossibile la prestanza esterna, si fece ricorso ad un prestito interno sotto condizioni gravi alla finanza, più gravi a' creditori; a' quali si davano cedole non circolanti, perché rappresentative di credito, non di moneta, e perciò lontane speranze in tempi disperati.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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