Ma quali che si fossero ne' successi quelle leggi, erano benefiche nel concetto.
Terza legge del Parlamento regolava l'amministrazione delle comunità e delle province. L'asprezza delle ordinanze francesi, divenute nostre nel Decennio, e conservate nel succedente regno de' Borboni, generò ne' popoli opinione che fosse libertà il disfacimento di quel sistema. Perciò la nuova legge, parteggiando colle credenze dell'universale, schivando l'autorità del Governo, affidava quelle amministrazioni agli ufficiali del municipio. Error grave in secolo di non puri costumi, ed in paese dove non trovi città o terra che non abbia il suo maggior potente, non per merito di virtù (che sarìa benefica preminenza), ma per uso di forza. Il re disapprovò quella legge. Se non mutavano i tempi, il Governo inchinando verso la libertà, il Parlamento verso le regole, si ricomponeva legge, come le altre, profittevole e sapiente.
Per la finanza pubblica, benché subbietto di continuo esame, si fecero poche e transitorie ordinanze, nessuna legge. Contrastavano al proponimento di miglior sistema le condizioni dei tempi, la guerra vicina, il ritegno a muovere quell'una parte di pubblica amministrazione alla quale tutte essendo legate, può un fallo, una inavvertenza, la stessa inopportunità di ottima legge produrre danni gravissimi. Era fatica per il vegnente anno, quando il Parlamento sperava maggior sicurezza e minori ansietà di governo. Appariva frattanto che preparasse minorazioni di tributi, economie nell'esercito, separazione delle casse di provincia dal tesoro pubblico, e che volesse render la libertà testé perduta alle amministrazioni di pubblici stabilimenti, e far palesi, per divolgati conti e sindacati, le entrate, le uscite del denaro comune.
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