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      Canosa, come ho riferito in altro libro, cacciato in esilio l'anno 1816, si ricoverò nella Toscana; vidde in Livorno il re al suo passaggio per Laybach, ma senza indizio di regal favore; lo rividde al ritorno, e 'l re lo scelse ministro del suo regno e del suo rigore. Nel congresso di Laybach, avuto rispetto ai giuramenti del re, si erano fermate, per decoro del nome, sentenze oneste di governo: riprovare la rivoluzione dell'anno 20, dichiarar forzata la libertà del monarca, e però invalidi gli atti di quel tempo; punire i capi di Monteforte, ma pochi e non colla morte; spingere a fuggire i colpevoli, aiutarli alla fuga per evitare lo scandalo dei giudizi; rifare lo Stato del 1820; rigidi sull'avvenire, benigni al passato, coprire col silenzio e con la dolcezza un fallo comune de' soggetti e dei reggitori.
      La quali benignità spiacevano al Canosa, che però, concitando gli sdegni del re, consigliava di pregare i sovrani del congresso a rigidezze maggiori; e scritte alcune lettere in forma di orazione, ed inviate a Laybach dal re col nome del suo ministro, non valsero a mutare i benevoli proponimenti. Dipoi, per i fatti di Rieti e per le rivoluzioni del Piemonte, sicuro ed inasprito l'animo di que' potentati, di nuovo pregati dal re di Napoli, gli dierono libero impero. Felice il Canosa della sfrenata tirannide, fermò le massime di governo, che furono: punire ne' sudditi ogni colpa, vendicare ogni offesa del lunghissimo regno del suo signore; schierare alla memoria gli odi presenti, e quelli del quinquennio, del decennio francese, della Costituzione di Sicilia, della Repubblica napoletana, de' primi moti del 93; opprimere i mal sofferenti di assoluto governo colla morte, le prigioni, gli esigli; schivare i giudizi, come lenti; presto punire per proprio senno; rompere il trattato di Casalanza, e tutti i precedenti o trattati o perdoni; prendere il destro per nettare il regno dai nemici de' troni.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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