VI. E tanto più che un novello tumulto accreditava la sentenza di lui, che, non per travagli o disastri, assai meno per benefizi o pietà, ma solo per morte o per impotenza di ribelli si assicuri l'imperio de' re, che era per lui la quiete de' regni. In Messina, forte d'armi e di ricchezze, intese le sventure di Rieti e le fughe degli eserciti e l'avvicinamento dell'oste tedesca, i Carbonari, molti ed arditi, sperarono difendere per sé la giurata Costituzione, purché i presìdi della città fossero compagni al disegno ed a' pericoli. Reggeva le milizie di quel vallo il generale Rossaroll, vago di libertà e per natura immaginoso ed estremo. A lui, il 25 marzo, andati come oratori i primi della setta, e da lui promessi gl'invocati aiuti, insieme concertarono i modi della impresa. Rossaroll sarebbe il capo; i soldati, per le leggi della milizia, i settari, per propria scelta, gli obbedirebbero; e però che settari e soldati erano le forze maggiori o le sole dell'isola, sarebbe facile l'azione, certo il successo, i primi moti darebbero consiglio per i secondi, questi per gli altri, però che prefiggere il cammino alle rivoluzioni è come segnar prima il corso di nave che andrà fra le tempeste; sta la speranza del navigare nel buon legno e nel buon pilota. Tali cose dette da' cospiratori e fermate in animo, passati gli avvisi nella notte ai settari della città, ciascuno tra le ambizioni e le speranze del proprio ingegno attendeva impaziente i primi albori prefissi al movimento.
Spuntato il giorno, cominciarono i tumulti, ed in poco d'ora trascorsero in ribellione; perciocché fu rovesciato lo stemma regio ed alzate in quel luogo le bandiere della setta, abbattute le statue del re, quelle di marmo rotte in pezzi e disperse, una di bronzo, resistente allo sforzo di atterrarla, sfregiata, sporcata in viso, e imposto al capo, cosi che nascondesse la corona, vaso immondissimo.
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