Un anno appresso si aggiunse alla censura de' libri stranieri dazio sì grave, che ne impediva l'entrata. Il ceto de' librai, venuto in povertà, dimostrando che per il troppo dazio era scemato il benefizio della finanza, pregò per l'abolizione della legge il ministro Medici, il quale dichiarò: essere lo scopo di quella gravezza non la utilità finanziera, ma la ignoranza del popolo; così che i loro argomenti si volgevano a sostegno della legge. Sincerità invereconde, da tempi ed uomini corrotti.
VII. Così stava inorridita ed afflitta la città, quando con magnifica pompa vi giunse il re, fra feste preparate dall'adulazione e dal timore. I discorsi de' magistrati, della municipalità, della università, delle accademie, fatti al re per gratulazione del ritorno, esaltavano la giustizia e la pietà di lui; lo chiamavano padre del suo popolo; adombravano con laude i mancamenti e lo spergiuro. Ed egli, tornato appena, provvedendo alle cose sacre, concesse a' cherici la cura della pubblica istruzione; a' gesuiti le antiche sedi e ricchezze; ad altri monasteri e società religiose doni e stipendi. L'esempio secondava le leggi, perocché spesso, co' principi della Casa e cortigiani e ministri, egli assisteva divotamente alle funzioni di chiesa, comunque volgari e ordinarie. E non bastando i precetti e l'esempio, aggiunse i premi e le pene, togliendo di carica quei che mostravano larga coscienza, e dando impieghi e favore a coloro che in ostentata divozione compivano i riti della Chiesa. Perciò la religione, che ne' padri nostri era di coscienza, oggi divenuta d'interesse, fu ipocrisia ed inganno: infimo stato dell'anima.
VIII. De' militari e settari di Monteforte, alcuni, come innanzi ho rammentato, fuggirono; altri stavano palesi e spensierati, non indotti a partirsi dalle astuzie della Polizia, né dal vedere in carcere gli ultimi di quel rivolgimento del quale eglino erano i primi.
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