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      Il re voleva scansare quel giudizio per non esporre a pubblico dibattimento e registrare in processo fatti poco degni del regal decoro; ma non poteva dissimulare colpe sì gravi, senza perdere la facoltà di punire le minori. Però facendo l'ultima prova, con editto del 30 maggio, giorno del suo nome, disse di perdonare i delitti della rivoluzione, ma non quello de' militari o settari che accamparono in Monteforte. Lo studio del re a scacciarli era per coloro maggiore argomento a restare; insino a che lo sdegno e la politica di lui, vincendo il pudore, tutti ad un giorno furono chiusi nelle carceri, e l'editto e 'l perdono restarono cassi. Si apri il giudizio di Monteforte.
      E tutto di crescevano le cagioni e gli effetti del rigore. Numerosi stuoli di liberali, per contumace ingegno e per difendersi dalle persecuzioni della Polizia, correvano le province; e la più parte, come ricchi e potenti, uffiziali poco innanzi delle milizie o principali della setta, avevano seguaci, amici, aderenti, denaro, armi, conoscenza dei luoghi, mezzi di guerra lunga e sanguinosa. Il capitano Venite, il capitano Corrado, il maggiore Poerio, il colonnello Valiante, ed altri di grado e fama, stavano armati nelle campagne, più spesso ne' piccoli paesi, pur talvolta nelle città, ribelli all'autorità del Governo, imperando sul popolo, non per imporre taglie o tributi, avidi solo di libertà. Il capitano Venite con le sue genti, un giorno dopo aver fatte le cerimonie sacre della setta, assaltarono Laurenzana, città grande di Basilicata, combatterono e vinsero le guardie del carcere per far libero un settario; ma impedirono agli altri prigioni di uscirne, non volendoli compagni né liberi, perché rei di misfatti; tale è la natura di quella setta e di quei tempi.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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