Gli assalitori di Laurenzana e Calvello, soprafatti dal numero delle milizie, alcuni traditori, tutti traditi, presi e giudicati, furono al numero di sessanta dannati a morte, e primo a morire fu il frate da Calvello. Fu morto combattendo il capitano Corrado; si salvò fuggendo il maggiore Poerio; fu chiuso in carcere il colonnello Valiante. I tumultuosi di Palermo furono giudicati, quarantatré puniti, e nove colla morte. Per altro giudizio morirono diciasette in Messina e trentotto condannati a' ferri. Altri dodici morirono in Lanciano. Avanzava il processo di Monteforte: altri processi per le rivoluzioni dell'anno 20 si spedivano. Il giudizio per la uccisione di Giampietro, narrata nel nono libro di queste storie, terminò colla condanna di tre alla morte, diciasette a pena di galea e di ergastolo. Si provò il delitto concertato in adunanza di Carboneria, e commesso ad alcuni settari scelti o sortiti, usando nelle atrocità eleggere ministri non conosciuti dal proscritto per abituarli a qualunque obbedienza e sperdere gl'indizi del misfatto. Furono perciò esecutori contro il Giampietro uomini della plebe, e motivo dell'odio della setta l'esser egli stato, da direttore di Polizia, cieco ed acerbo punitore dei settari. Ottocento almeno condannati, o nelle civili discordie combattendo, furono morti nell'anno 1822 per causa di libertà disperata, illegittima e infame. E non un solo fra tante genti volle combattere un anno innanzi, in guerra ordinata e gloriosa. E tanti supplizi si tolleravano animosamente da quegli uomini stessi che nel campo furono timidi e molli; perciocché il morir fortemente per tirannide è misera virtù de' Napoletani, acquistata dal troppo uso di quella morte e dal sentire laudati que' martìri.
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