- A que' detti assentiva tumultuando il popolo presente; le guardie (erano tedesche) impugnarono l'armi, parecchi imprigionamenti nella casa della giustizia seguirono, vile silenzio successe nella moltitudine; i preghi del De Simone furono rigettati. Con sembianze tanto atroci cominciò il dibattimento.
Erano grandi le colpe, le discolpe: diserzioni concertate di reggimenti, violata la disciplina e il giuramento della milizia, mutato il Governo, cagionata la guerra; e dall'opposta parte, moti tranquilli, rivoluzion civile, perdono, lodi, giuramento del re; universal consentimento de' reggitori e de' soggetti; eguali sforzi a sostener quello Stato, eguale abbandono nelle rovine: perciò colpe comuni o nessuna. Per i quali rispetti gli onesti fra i giudici sentivano pietà e brama di giovare a que' miseri; gli ambiziosi disegnavano di amplificare il delitto. Gli accusati stavano sereni, o per animo grande, o per gli aiuti della speranza, o per la calma che viene dalla disperazione. Morelli, più volte interrogato sulle particolarità del delitto, rispondendo, aggravava le colpe, e soggiungeva: - Mancai, lo confesso, al giuramento della milizia; ma il re giurò di perdonare al mio mancato giuramento. - Il colonnello Celentani, altro incolpato, udendo accusare come ribelli gli uffiziali del suo reggimento, chiese parlare, e disse: - Ho esposto altre volte per quali onesti motivi condussi a Monteforte il reggimento; ma quegli argomenti vaglian per me, non per questi uffiziali - segnandoli col guardo e col dito - che sento con maraviglia chiamar ribelli e spergiuri. Sarieno al certo e spergiuri e ribelli, se disobbedivano al mio comando. Io innanzi di muovere non consultai col reggimento, ma, come è costume negli eserciti, feci suonare a partenza; e questi uffiziali e soldati, obbedienti come altra volta, mi seguitarono.
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