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      XVII. Le grazie del re indi a poco si pubblicarono: la pena di morte fu mutata in ergastoli o galee a vita, le minori pene si attenuarono. Solamente inflessibile fu l'animo regio per Morelli e Silvati, che il giorno stesso morirono sulle forche. Agli altri campati dalla morte si recisero i capelli, s'imposero vesti e ferri di pena, si accoppiarono (però che in quel martirio son tenuti a coppia) con altri condannati per delitti vituperevoli, e così andarono agl'infami scogli di Santo Stefano e Pantelleria. Dei sette giudici, i tre benigni furono per simulate cagioni cassi d'impiego, gli spietati promossi; il procurator generale Calenda dimesso affatto, Brundisini avanzato; più rimunerato il Girolami dell'esempio, primo nella curia napoletana, che in causa di morte, anzi di trenta condannati a morire, la parità fra' giudici si sciolga dal voto del presidente per la sentenza più cruda. Co' quali o premi o pene il Governo palesava l'animo fermo al rigore, ed a' giudici comandava severità cieca, libera dai rispetti di ragione o di coscienza.
      XVIII. Spedita la causa di Monteforte e le altre, come innanzi ho riferito, per i tumulti di Messina, Palermo, Laurenzana, Cal-vello, e la causa di Giampietro, ed altre cause minori; sfogate cento vendette o della legge o dello sdegno; versato tanto sangue di cittadini e tanto pianto, non però si mitigava l'acerbità de' castighi. Furono condannati a morte in contumacia, e poco appresso dichiarati nemici pubblici, nove fuggiti, primi de' quali i generali Carascosa e Pepe. Fu intimato per editto a settecento e più cittadini di andar volontari alle prigioni, per essere giudicati secondo le leggi; ovvero uscir dal regno con passaporti liberi, senza indizio di pena: aggiungendo promesse di benignità agli obbedienti, minacce a' ritrosi.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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