Tanto più sicuramente, perché caduto in quel tempo il Governo costituzionale delle Spugne, anche là furon visti tradimenti, fughe, vituperi, tutta la debolezza dei novatori moderni. E però che in Napoli le sofferenze del popolo e le tristizie del Governo durarono costanti, simili, continue per tutto il tempo racchiuso in questo libro, io, argomentando l'animo de' leggitori dalla mia propria sazietà e melanconia, e bastando le già dette cose a rappresentare la miseria de' tempi, cesserò di narrare altre morti, esigli, fughe, povertà: sventure pur troppo ripetute in queste mie istorie.
XXII. E non meno spietata e fiera fu la natura in quell'anno. La città di Sala fu scossa da tremuoto; altra, Avigliano, franò in gran parte; in Messina, tempesta impetuosa con fulmini e tremuoti scaricò in pioggia tanto stemperata, che i molti torrenti della città e de' dintorni, abbandonando l'ordinario letto, devastarono le campagne, abbatterono le case nelle quali più di cento uomini perirono, e tanti sassi e tronchi lasciarono nel piano, che, scomparsa l'antica faccia, vedevasi deserto dove già furono deliziosi giardini o fertili poderi. Molti abitanti della stessa città si ripararono sopra i tetti, molti soffogati perirono.
Disastri maggiori tollerò Palermo per tremuoto.
XXIII. Nei quali medesimi anni avvennero morti memorabili. Il general D'Ambrosio, chiaro nell'armi, ferito sette volte in molte guerre, dotto, facondo, morì senza il nome e gli onori del grado, e mal visto dal re.
Indi a poco morì altro generale, il duca di Ascoli, del quale dura la fama, che nel 1801 fu potente e benigno; negli anni appresso in Sicilia potente quanto innanzi, ma tristo; e poscia in Napoli, dal ritorno de' Borboni finché morì, vario come volevano tempi e politica.
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