Giunto dinanzi a casa, trovò l’uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entrò dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gettò a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza.
Ma quella contentezza durò poco, perché sentì nella stanza qualcuno che fece:
– Crì - crì - crì!
– Chi è che mi chiama? – disse Pinocchio tutto impaurito.
– Sono io!
Pinocchio si voltò e vide un grosso Grillo che saliva lentamente su su per il muro.
– Dimmi, Grillo: e tu chi sei?
– Io sono il Grillo-parlante, ed abito in questa stanza da più di cent’anni.
– Oggi però questa stanza è mia, – disse il burattino, – e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro.
– Io non me ne anderò di qui, – rispose il Grillo, – se prima non ti avrò detto una gran verità.
– Dimmela e spìcciati.
– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.
– Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perché se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola e per amore o per forza mi toccherà studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia e mi diverto più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido.
– Povero grullerello! Ma non sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo somaro e che tutti si piglieranno gioco di te?
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