La platea, tutta attenta, si mandava a male dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini, che gestivano e si trattavano d’ogni vitupero con tanta verità, come se fossero proprio due animali ragionevoli e due persone di questo mondo.
Quando all’improvviso, che è che non è, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo alla platea, comincia a urlare in tono drammatico:
– Numi del firmamento! sogno o son desto? Eppure quello laggiù è Pinocchio!...
– È Pinocchio davvero! – grida Pulcinella.
– È proprio lui! – strilla la signora Rosaura, facendo capolino di fondo alla scena.
– È Pinocchio! è Pinocchio! – urlano in coro tutti i burattini, uscendo a salti fuori delle quinte.
– È Pinocchio! è il nostro fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio.
– Pinocchio, vieni quassù da me, – grida Arlecchino, – vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno!
A questo affettuoso invito Pinocchio spicca un salto, e di fondo alla platea va nei posti distinti; poi con un altro salto, dai posti distinti monta sulla testa del direttore d’orchestra, e di lì schizza sul palcoscenico.
È impossibile figurarsi gli abbracciamenti, gli strizzoni di collo, i pizzicotti dell’amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza, che Pinocchio ricevé in mezzo a tanto arruffio dagli attori e dalle attrici di quella compagnia drammatico-vegetale.
Questo spettacolo era commovente, non c’è che dire: ma il pubblico della platea, vedendo che la commedia non andava più avanti, s’impazientì e prese a gridare:
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