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      Era un modo come un altro, per dare a conoscere agli altri la sensibilità del suo cuore.
      Dopo aver starnutito, il burattinaio, seguitando a fare il burbero, gridò a Pinocchio:
      – Finiscila di piangere! I tuoi lamenti mi hanno messo un’uggiolina in fondo allo stomaco... Sento uno spasimo, che quasi quasi... Etcì! etcì! – e fece altri due starnuti.
      – Felicità! – disse Pinocchio.
      – Grazie! E il tuo babbo e la tua mamma sono sempre vivi? – gli domandò Mangiafoco.
      – Il babbo, sì la mamma non l’ho mai conosciuta.
      – Chi lo sa che dispiacere sarebbe per il tuo vecchio padre, se ora ti facessi gettare fra quei carboni ardenti! Povero vecchio! lo compatisco!.. Etcì, etcì, etcì, – e fece altri tre starnuti.
      – Felicità! – disse Pinocchio.
      – Grazie! Del resto bisogna compatire anche me, perché, come vedi, non ho più legna per finire di cuocere quel montone arrosto, e tu, dico la verità, in questo caso mi avresti fatto un gran comodo! Ma oramai mi sono impietosito e ci vuol pazienza. Invece di te, metterò a bruciare sotto lo spiedo qualche burattino della mia Compagnia... Olà, giandarmi!
      A questo comando comparvero subito due giandarmi di legno, lunghi lunghi, secchi secchi, col cappello a lucerna in testa e colla sciabola sfoderata in mano.
      Allora il burattinaio disse loro con voce rantolosa:
      – Pigliatemi lì quell’Arlecchino, legatelo ben bene, e poi gettatelo a bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito bene!
      Figuratevi il povero Arlecchino! Fu tanto il suo spavento, che le gambe gli si ripiegarono e cadde bocconi per terra.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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