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      Pinocchio, alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi ai piedi del burattinaio e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli della lunghissima barba, cominciò a dire con voce supplichevole:
      – Pietà, signor Mangiafoco!...
      – Qui non ci son signori! – replicò duramente il burattinaio.
      – Pietà, signor Cavaliere!...
      – Qui non ci son cavalieri!
      – Pietà, signor Commendatore!...
      – Qui non ci son commendatori!
      – Pietà, Eccellenza!...
      A sentirsi chiamare Eccellenza il burattinaio fece subito il bocchino tondo, e diventato tutt’a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:
      – Ebbene, che cosa vuoi da me?
      – Vi domando grazia per il povero Arlecchino!...
      – Qui non c’è grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perché io voglio che il mio montone sia arrostito bene.
      – In questo caso, – gridò fieramente Pinocchio, rizzandosi e gettando via il suo berretto di midolla di pane, – in questo caso conosco qual è il mio dovere. Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi là fra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me!...
      Queste parole, pronunziate con voce alta e con accento eroico, fecero piangere tutti i burattini che erano presenti a quella scena. Gli stessi giandarmi, sebbene fossero di legno, piangevano come due agnellini di latte.
      Mangiafoco, sul principio, rimase duro e immobile come un pezzo di ghiaccio: ma poi, adagio adagio, cominciò anche lui a commuoversi e a starnutire.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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