Voglio prima un’altra pallina di zucchero... e poi la beverò!...
Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po’ di zucchero; e dopo gli presentò daccapo il bicchiere.
– Così non la posso bere! – disse il burattino, facendo mille smorfie.
– Perché?
– Perché mi dà noia quel guanciale che ho laggiù sui piedi.
La Fata gli levò il guanciale.
– È inutile! Nemmeno così la posso bere...
– Che cos’altro ti dà noia?
– Mi dà noia l’uscio di camera, che è mezzo aperto.
La Fata andò e chiuse l’uscio di camera.
– Insomma, – gridò Pinocchio, dando in uno scoppio di pianto, – quest’acquaccia amara, non la voglio bere, no, no, no!...
– Ragazzo mio, te ne pentirai...
– Non me n’importa...
– La tua malattia è grave...
– Non me n’importa...
– La febbre ti porterà in poche ore all’altro mondo...
– Non me n’importa...
– Non hai paura della morte?
– Punto paura!... Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva.
A questo punto, la porta della camera si spalancò ed entrarono dentro quattro conigli neri come l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.
– Che cosa volete da me? – gridò Pinocchio, rizzandosi tutto impaurito a sedere sul letto.
– Siamo venuti a prenderti, – rispose il coniglio più grosso.
– A prendermi?... Ma io non sono ancora morto!...
– Ancora no: ma ti restano pochi minuti di vita avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito dalla febbre!...
– O Fata, o Fata mia,– cominciò allora a strillare il burattino, – datemi subito quel bicchiere.
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