– Quanto siete buona, Fata mia, – disse il burattino, asciugandosi gli occhi, – e quanto bene vi voglio!
– Ti voglio bene anch’io, – rispose la Fata, – e se tu vuoi rimanere con me, tu sarai il mio fratellino e io la tua buona sorellina...
– Io resterei volentieri... ma il mio povero babbo?
– Ho pensato a tutto. Il tuo babbo è stato digià avvertito: e prima che faccia notte, sarà qui.
– Davvero?... – gridò Pinocchio, saltando dall’allegrezza. – Allora, Fatina mia, se vi contentate, vorrei andargli incontro! Non vedo l’ora di poter dare un bacio a quel povero vecchio, che ha sofferto tanto per me!
– Vai pure, ma bada di non ti sperdere. Prendi la via del bosco, e sono sicurissima che lo incontrerai.
Pinocchio partì: e appena entrato nel bosco, cominciò a correre come un capriolo. Ma quando fu arrivato a un certo punto, quasi in faccia alla Quercia grande, si fermò, perché gli parve di aver sentito gente fra mezzo alle frasche. Difatti vide apparire sulla strada, indovinate chi?... la Volpe e il Gatto, ossia i due compagni di viaggio, coi quali aveva cenato all’osteria del Gambero Rosso.
– Ecco il nostro caro Pinocchio! – gridò la Volpe, abbracciandolo e baciandolo. – Come mai sei qui?
– Come mai sei qui? – ripeté il Gatto.
– È una storia lunga, – disse il burattino, – e ve la racconterò a comodo. Sappiate però che l’altra notte, quando mi avete lasciato solo nell’osteria, ho trovato gli assassini per la strada...
– Gli assassini?... O povero amico! E che cosa volevano?
– Mi volevano rubare le monete d’oro.
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