– Infami!... – disse la Volpe.
– Infamissimi! – ripeté il Gatto.
– Ma io cominciai a scappare, – continuò a dire il burattino, – e loro sempre dietro: finché mi raggiunsero e m’impiccarono a un ramo di quella quercia.
E Pinocchio accennò la Quercia grande, che era lì a due passi.
– Si può sentir di peggio? – disse la Volpe. – In che mondo siamo condannati a vivere? Dove troveremo un rifugio sicuro noi altri galantuomini?...
Nel tempo che parlavano così, Pinocchio si accorse che il Gatto era zoppo dalla gamba destra davanti, perché gli mancava in fondo tutto lo zampetto cogli unghioli: per cui gli domandò:
– Che cosa hai fatto del tuo zampetto?
Il Gatto voleva rispondere qualche cosa, ma s’imbrogliò. Allora la Volpe disse subito:
– Il mio amico è troppo modesto, – e per questo non risponde. Risponderò io per lui. Sappi dunque che un’ora fa abbiamo incontrato sulla strada un vecchio lupo, quasi svenuto dalla fame, che ci ha chiesto un po’ d’elemosina. Non avendo noi da dargli nemmeno una lisca di pesce, che cosa ha fatto l’amico mio, che ha davvero un cuore di Cesare?... Si è staccato coi denti uno zampetto delle sue gambe davanti e l’ha gettato a quella povera bestia, perché potesse sdigiunarsi.
E la Volpe nel dir così, si asciugò una lacrima.
Pinocchio, commosso anche lui, si avvicinò al Gatto, sussurrandogli negli orecchi:
– Se tutti i gatti ti somigliassero, fortunati i topi!...
– E ora che cosa fai in questi luoghi? – domandò la Volpe al burattino.
– Aspetto il mio babbo, che deve arrivare qui di momento in momento.
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